Prima squadra

Baldini è tornato a parlare dopo l'addio al Pescara: ecco le sue dichiarazioni

Intervista esclusiva a Il Corriere dello sport: “Grazie Pescara, la vita e niente altro”

20.06.2025 21:53

Silvio Baldini il giorno dopo. Ecco le parole del tecnico rilasciate in esclusiva al Corriere dello Sport in una lunga intervista rilasciata al collega T. Calzone subito dopo l'addio al Delfino. Ecco gli stralci più interessanti del botta e risposta:

Silvio Baldini, che fa, ora che ha ricostruito le ambizioni del Pescara, lascia e va in bici, a caccia o a funghi? 

«Io credo che i problemi familiari vadano risolti prima di ogni altra cosa. Per me Pescara è un luogo magico. Ma la mia famiglia allargata viene sempre prima. Mio figlio Mattia fa il corso a Coverciano, e dopo 43 giorni di lavoro consecutivi sul campo ha dovuto rimandare tutto. Non sono capricci. Io potrei allenare anche gratis, l’ho già fatto in passato. Ma se la mia famiglia fa un sacrificio bisogna tenerne conto. E decidere di conseguenza». 
 
Poi c’è il richiamo della montagna. Anche in Abruzzo ce ne sono di bellissime. Un’escursione tra un allenamento e l’altro avrebbe potuto farla. O no?  
«In 11 mesi sono uscito solo una volta col mio amico Nicola. Ho dovuto curare quei particolari del mio Pescara che hanno fatto la differenza». 
 
Si offende se la definiscono mago e filosofo? 
«Sono definizioni che sanno di presa per il c... Poi, dipende anche da dove vengono certi giudizi. Per esempio, dopo le due finali con la Ternana, mi ha chiamato De Zerbi - che conosco dai tempi di Brescia, da ragazzino intelligente e silenzioso - e mi ha detto: “Silvio, secondo me tu hai messo il Pescara in campo benissimo, sempre salendo con la difesa. Se una squadra nel 2º tempo supplementare si alza come avete fatto voi, poi vinci e non per caso”. Senza lavorare tantissimo i risultati non arrivano. Sempre il mio amico Augusto sostiene che un allenatore in panchina - o un professore in cattedra - è bravo quando lo dicono i calciatori». 
 
La sua visione del mondo non è cambiata nel tempo: valori, passione, lavoro. Trent’anni nel calcio non sono riusciti a trasformarla in un “risultatista” a tutti i costi. Come si è salvato da questa ossessione? 
«Io sono sempre stato così e non mi sono mai sentito diverso dagli altri. Restare se stessi è fondamentale. Anche io voglio vincere, ma attraverso il lavoro, con la squadra che abbia quest’unica etica. Tra l’imporsi rubando la partita o farlo attraverso l’ambizione di riuscirci, preferisco la seconda soluzione. Con la Ternana non siamo stati solo fortunati. Proprio no». 
 
Il tempo che passa inesorabile la turba oppure è uno stimolo a fare tutto meglio e bene? 
«Mi stimola a fare tutto perfettamente. Portare il Pescara in B lo avevo promesso e l’ho fatto. La mia unica filosofia è non lasciare che il tempo passi invano. Ma fare tutto con il massimo impegno possibile». 
 
È sempre convinto che l’alternativa a questo calcio impazzito sia una vita bucolica: qualche animale da pascolo e tanta montagna, cercando porcini sulle sue Alpi Apuane in compagnia dei suoi inseparabili amici a caccia di pernici e beccacce? 
«Non sono nessuno per dare indicazioni universali e non ho soluzioni ideali valide per tutti. Anzi, neppure voglio farlo. Le uniche cose che ti cambiano la vita sono la famiglia e l’istruzione. Poi mi piace stare con i pastori e i contadini perché sono persone che hanno rapporti diretti con la natura e conoscono le risposte che arrivano da essa senza compromessi. Esseri umani che ti dicono sempre le cose come stanno. Questo per me conta». 
 
Poi c’è la famiglia. Anzi prima di tutto c’è la famiglia. 
«Esattamente. Perché senza famiglia va tutto in malora. Sei un uomo debole e fragile. La famiglia ti obbliga alle responsabilità e all’amore. Senza tutto ciò, la vita di un uomo non ha nessun significato». 
 
Tanti allenatori stimati in passato, Sacchi e Orrico su tutti, e molti altri amici - Lippi, Spalletti, Pioli - non solo per una questione di appartenenze geografiche. Poi Conte e De Zerbi. Una ricchezza anche questa? 
«Ho un bel rapporto con Conte e con De Zerbi. Antonio mi manda i video che faccio vedere alla squadra. Mi ha trasmesso dei messaggi anche quando allenavo il Palermo e ha stimolato i miei ragazzi a credere nelle loro possibilità. È la testimonianza che per raggiungere un obiettivo bisogna insistere soprattutto nei momenti più difficili e duri». 
 
Ma il metodo Baldini resta inimitabile, non dà punti di riferimento. Su cosa si fonda? 
«Non esiste e non voglio neppure sentirne parlare. Mi stanno sulle scatole certe etichette. Non c’è nessun metodo. I risultati dipendono dall’empatia che tu riesci a creare con le persone con cui lavori. Sebastiani e Foggia sono due persone straordinarie. E mi hanno messo nelle migliori condizioni possibili per fare calcio. Ed è nato un Pescara vincente in cui nessuno credeva». 
 
Se dovesse definire il suo calcio quali aggettivi impiegherebbe? E il concetto a cui non rinuncerebbe mai? 
«Il mio calcio non esiste. Io non mi definisco. Poi tutti parlano di calcio. Io amo discuterne con Italo Cucci, il mio maestro. Da sempre. Lui ricorda tutto». 
 
Lei è stato per sei anni senza allenare, poi lo ha fatto gratis senza neppure un rimborso spesa. I soldi non sono un valore assoluto, ma il calcio sembra guardare unicamente al profitto creando peraltro tanti debiti. Nasce da ciò il male assoluto? 
«Il problema è la sostenibilità. Io ho la mia pensione e mi basta a mantenere la mia famiglia dignitosamente. Allenare gratis la Carrarese è stato possibile. A Palermo ho rinunciato perché bisogna sempre salvaguardare la dignità. Se manca ciò, i soldi non contano niente». 
 
In questo mondo, lei s’è accreditato come un visionario sempre avanti sui tempi. Perché, poi non ha mai aperto cicli o messo radici? 
«Non lo so. Non me lo so spiegare, ma non me lo sono mai chiesto davvero». 
 
Vince e va via. A Pescara come a Palermo dove c’erano le condizioni per durare a lungo e dove ha lasciato un segno tra la gente, già dalla sua prima esperienza con Zamparini, che poi la esonerò. Cosa non ha funzionato? 
«Non venivo ascoltato. Se ti mettono tre massaggiatori e due preparatori atletici senza dirtelo, vuol dire che non conti niente. Meglio andare via. Il Palermo non me lo faranno più guidare, ma per i palermitani resterò sempre un loro allenatore. Come a Pescara sarò il tecnico dei pescaresi. Questo mi gratifica infinitamente». 
 
Lei ha avuto parole di stima e riconoscenza per il patron Daniele Sebastiani, il presidente contestato anche quando vince. Un gesto di solidarietà umana o cosa? 
«Un gesto di gratitudine per il fatto che mi ha sempre sostenuto e aiutato. Mi ha continuamente detto di andare per la mia strada. A Terni mi ha regalato un grande complimento. Mi ha fatto piacere quando ha detto che facevo ormai parte della sua famiglia. Cosa chiedere di più?». 
 
Che Pescara lascia in eredità al suo successore? 
«Una squadra di eroi. Ragazzi che avranno una crescita esponenziale. I limiti di questi giovani calciatori non li conosce nessuno. E ora hanno una consapevolezza in più: solo il lavoro e i sacrifici ti migliorano. All’Empoli dicevano la stessa cosa. Ma abbiamo giocato sempre con gli attaccanti e allo stesso modo. In A vincemmo le prime quattro gare. E non fu per caso. Il Pescara ha 6/7 elementi potenzialmente da A. Servono altri giovani». 
 

 


 

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Vivarini vicinissimo, ci sono conferme