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I grandi abruzzesi dello sport: Giulio Ciccone

La caccia a Maglia Rosa e Magia Gialla non è ancora finita

09.12.2021 01:00

Dopo Taccone e Di Luca, il ciclismo abruzzese ha trovato un nuovo, grande campione: è il teatino Giulio Ciccone, ancora nel pieno della carriera. Il corridore è stato l’ospite di “Storie - Le Emozioni della Vita”, programma di Rete 8 in collaborazione con il Centro in onda stasera alle 21 con la regia di Antonio D’Ottavio:

Vi riproponiamo dunque il pezzo pubblicato sul quotidiano qualche giorno fa:

A un certo punto è arrivato il momento di scegliere: correre con i go-kart o correre in bicicletta. «La mia è una famiglia umile e fare il pilota sarebbe costato tanto, troppo. Così ho deciso di andare in bici». Si presenta così Giulio Ciccone, il primo e unico abruzzese che ha indossato la maglia gialla al Tour de France.  «In quei momenti pensavo solo alla vittoria di tappa e non alla classifica: volevo vincere a tutti i costi», racconta Ciccone, in forza alla Trek-Segafredo, «negli ultimi metri, a dire la verità, ho provato un po’ di delusione perché mi era sfuggita la vittoria di tappa ma poi ho capito che ero diventato lo stesso il leader della corsa». Un’impresa da raccontare. E non è l’unica: Ciccone è il quarto più giovane corridore di sempre a vincere una tappa al Giro d’Italia dopo Fausto Coppi, Luigi Marchisio e Vito Taccone, un altro grande abruzzese.
DA BAMBINO «Da quando ero piccolo la mia vita era tutta sulla bici: mi svegliavo e volevo andare in bici. Poi, l’idea di correre è arrivata grazie a qualche amico e alla mia famiglia. I motori sono la mia grande passione ma non potevo correre con i go-kart e abbiamo preferito provarci con la bici. Le prime gare? La prima, a Manoppello, me la ricordo bene: sbagliai una curva, mi stavo quasi ammazzando: passai tra il marciapiedi e un palo. Mi salvai ma non fu un grande risultato». Ma non ha mollato, come dice sempre la mamma.
GIRO D’ITALIA La prima grande vittoria tra i professionisti porta al Giro d’Italia del 2016, a Sestola: «Mi ritrovai in una fuga numerosa fin dall’inizio della tappa. Poi, all’ultima scalata, ne avevo più degli altri. I dettagli però non me li ricordo bene: mi è rimasta in testa solo l’ultima salita. Ero in grande condizione: una forza dentro che capita poche volte, sentivo che nessuno avrebbe potuto raggiungermi e che stavo andando a prendermi la mia prima vittoria da professionista, al Giro d’Italia: il mio sogno da ragazzino. Dopo quella vittoria la mia storia è cambiata e sono stato proiettato subito in alto». Sulla salita dell’ultimo Giro d’Italia a Chieti, i suoi colleghi hanno lasciato che facesse l’inchino alla città: un tributo che si lascia solo ai grandi del ciclismo. «In quel momento sono tornato indietro con gli anni, quando andavo con mamma e papà a vedere il Giro d’Italia. In gara quella salita mi sembrava quasi una pianura».
A VOLTE SI PERDE L’altra faccia delle vittorie sono le sconfitte: «Nell’ultima stagione le cadute hanno condizionato i miei risultati. Ritirarsi è duro: dietro una corsa ci sono tanti sacrifici e poi se sei il leader hai responsabilità. Il ritiro alla Vuelta è quello che mi ha fatto più male: mi sono ritrovato ad andare a casa a qualche giorno dalla fine».
AMORE DI MAMMA La malattia della madre è stata la salita più difficile: «È stato il momento più duro della mia vita. Lì ho capito che la vita non è soltanto il ciclismo, che non conta arrabbiarsi, che la famiglia è importante: i miei genitori non mi lasciano mai solo, hanno creduto sempre in me, non mi hanno mai messo pressione sia quando vincevo sia quando perdevo. E poi mi hanno lasciato sempre libero: non avevo il peso di diventare qualcuno per loro. Mio padre? Ha passione, è orgoglioso di me e guarda sempre le mie corse. Mia madre invece guarda più alle cose da mamma: mi ha insegnato a non mollare mai».

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