
Le verità di Daniele Sebastiani
Il direttore de Il Centro, Luca Telese, ha intervistato il presidente del Pescara
Il direttore de Il Centro, Luca Telese, ha intervistato il presidente del Pescara, Daniele Sebastiani. Ecco un estratto delle domande e delle risposte più interessanti pubblicate sul quotidiano abruzzese:
Presidente Sebastiani, come entrate in questi play off?
«Noi? Con la certezza che possiamo realizzare una impresa».
Non vale, questo lo direbbe comunque.
«Ma io, oggi, non devo raccontare storie a nessuno».
In che senso?
«Alla fine di questo lungo anno, dopo un campionato bello, complesso e difficile, siamo arrivati ad un punto in cui contano solo i fatti. Siamo in corsa, ce la giochiamo».
Difficilissima sfida.
«Questa non è una semplice coda».
Cioè?
«Mercoledì, per noi, é come se fosse iniziato un nuovo mini-campionato. Con un rituale complesso, particolare, dominato dal congegno dell’eliminazione diretta. È come se si resettasse tutto».
E perché il Pescara sarebbe “messo “oggettivamente bene”?
«Per almeno due motivi. Il primo é che in questo momento siamo una squadra in ottima condizione fisica. È così per via della modalità di preparazione del mister».
In che senso? «Altri, anche bravissimi, sono arrivati fini qui con tenacia, ma ora hanno il fiatone. Le squadre di Baldini hanno un percorso, anche atletico, che consente loro di chiudere al massimo proprio in primavera. Cioè ora».
Lei mi ha parlato di un secondo motivo di fiducia.
«Abbiamo una seconda caratteristica decisiva: una panchina lunga, una rosa forte e varia».
Lei sa che molti, durante il campionato, le hanno rimproverato il contrario.
«Perché, durante questo lungo anno, abbiamo dovuto combattere con gli infortuni. Adesso anche Lonardi, che per noi é stata la prima perdita importante, è tornato. Adesso anche Merola - che ci era mancato altrettanto - è in forma smagliante. Lo avete visto che goal?».
Quindi la rosa c’è?
«É come se, svuotando l’infermeria, avessimo fatto una sessione di mercato. Per fortuna, nel momento decisivo, sono tutti disponibili».
Con altrettanta lucidità provi a dire cosa non ha funzionato nell’ultimo mese.
«Se devo essere sincero? Il fattore decisivo sono stati un numero incredibile di errori arbitrali».
Non teme sanzioni? «É sotto gli occhi di tutti!».
Bene, però c’è stato un momento, dopo Natale, in cui il motore turbo della squadra spensierata era andato in panne. Lo ammetta.
«Senza dubbio. I ragazzi, dopo una partenza a razzo, e tante partite di calcio-champagne, aveva perso la spensieratezza del girone di andata».
Paura?
«No, mai. Hanno avvertito sulle spalle il peso della classifica. Un sentimento diverso».
E non potrebbe accadere anche nei playoff? «Guardi, anche nel momento peggiore, a noi non ci ha mai messo sotto nessuno. Nessuno».
Mi spieghi una partita-No a caso, quella con il Legnago.
«Eravamo la squadra di sempre, a mille. Poi, davanti alla porta, il minuetto: segno-io, segni-tu, poi non tira in porta nisciuno».
Non c’è un solo tifoso che in quei giorni bui non abbia detto: ah, se avessimo avuto un attaccante in più!
«L’Entella non ha l’attaccante e ha vinto il campionato. Noi abbiamo il più giovane talento d’Italia, Arena».
Daniele Sebastiani torna a sorridere. Ironico, disincantato. Determinato. Molto sereno («Le contestazioni mi mettono di buon umore»), chiaro fino alla brutalità: «Non vedo nessun principe azzurro che voglia portare qui Messi e Leao».
Compra il Pescara a quarantanni, con il fratello di De Cecco, Giuseppe. Che però abbandona, in polemica. E lei prende il suo posto.
«Se De Cecco avesse fatto quello che gli avevo proposto sarebbe ancora presidente».
Lei non sarebbe in prima fila.
«Ma quello che io ho ottenuto in dieci anni - arrivando in serie A - con il suo cognome lo avremmo fatto in due».
Ha qualche rimpianto?
«Su De Cecco no. Sulla mia famiglia sì. Se ho fatto qualcosa nella vita lo devo a mia moglie, che non mi ha mai fatto avere un pensiero. Ero sempre in giro per stadi, poco presente, a casa. Nel 1992 é nata mia figlia Michela. Nel 1997 Maria Cristina».
Ha fatto i soldi con il leasing o con il Pescara?
«I soldi non li ho fatti mai. Sono stato uno che ha guadagnato bene. La storia di mio padre mi ha trasferito un senso di precarietà esistenziale».
Ho capito: più soldi con il Pescara.
«Semmai il contrario. Ho vissuto il momento magico in cui chiunque voleva comprare qualcosa, da un trattore a una bottiglia veniva da me». Perché? «Con UniCredit davamo dei prodotti che non avevano tutti».
Comprare il Pescara fu un affare?
«La società aveva solo debiti. Nessun bene».
Molti tifosi vorrebbero un presidente più piacione. (Sospiro).
«Tutti vorrebbero uno che si mette la sciarpa, racconta quattro cazzate e poi se ne va via».
Dicono: Sebastiani ha venduto troppo.
«Vai a vedere quanti soldi abbiamo messo nel Pescara! Ma si fa prima a contare quelli che abbiamo preso: zero. A Pescara nessuno socio ha mai preso un centesimo».
Tuttavia la odiano.
«Alcuni forse sí. Ma la maggioranza apprezza cosa sto facendo».
Quali sono i presidenti stranieri che funzionano?
«Quelli che capiscono chi tenere persone capaci di gestire. Pensa all’Atalanta. O quelli che hanno radici vere: vedi Pelligra a Catania, Rizzetto a Campobasso».
Gli altri?
«Arrivano, bruciano soldi e se ne vanno».
E quelli che odiano lei?
«Silvio Berlusconi un giorno disse: “In questo paese moriranno più di invidia che di infarto”».
Perché il primo anno in serie A andò male?
«Perché a gennaio, da quintultimi, facemmo un mercato sbagliato, invece di dare fiducia a chi ci aveva portato lì».
Zeman?
«Un maestro. Che fortuna lavorare con lui. Mi sono divertito molto. Può fare qualsiasi cosa, tranne smettere di fumare sigarette».
E gli stadi, in Italia?
«Noi siamo il terzo mondo del calcio».
Esempio?
«Voglio ristrutturare l’Adriatico, ma dopo sei anni di studio non riesco ancora a superare i mille vincoli».
Cos’é il Pescara oggi?
«Una squadra forte con un allenatore bravo».
Lei non si sente già arrivato?
«Non credo. Ora lascio lei e vado a cambiare la guaina sul tetto del mio impianto di paddle».
Dicono che lei venda troppi giocatori.
«Direi che sono stato bravissimo a vendere i giocatori, altrimenti saremmo già falliti. Lo farò ancora».
E la contestazione allo stadio?
«Uuhhhhh! Dura da cinque anni. Se smettessero avvertirei un vuoto».
Non scherzi.
«Gli insulti non mi toccano. Faccio il mio. Ho sempre fatto tutto per dare dignità alla squadra. Ma sono anche convinto che per andare avanti nei play off questi tifosi saranno decisivi».
E poi? (Allarga le mani).
«La curva ha diritto a contestarmi. A parte i leoni da tastiera e i matti, non mi offendo».
Lei ha scoperto - tra gli altri - Verratti, Immobile, Insigne… (Conta sulle dita). …
«E poi Quintero, Perin, Torreira, Lapadula, Caprari, Biraghi, Rafia, Zappa, Cristante, Mandragora - ieri in Conference - E Sottil! Avevo già l’occhio per i giovani, diciamo…».
Commenti