Editoriale

Con quella faccia un po'così, quell'espressione un po'così...

23.02.2017 09:51
La flebile fiamma dell'accendino, che illumina la stanza buia, sembra la fiammella delle speranze salvezza del suo Pescara. La prima sigaretta del mattino - si dice - è quella che fa più male, ma è pur sempre quella che un vero fumatore assapora più intensamente. E il signor Zdenek prova un sottile ma violento piacere mentre la gusta. Un istante di apnea con la prima boccata, la sensazione fisiologica ma irreale di un capogiro.  Dalle narici fuoriesce il fumo - sembra quasi la sbuffata di un toro - che poi sale su, lentamente, illuminato da un filo di luce, fioca, che filtra dalle serrande ancora abbassate. Il risveglio è un replay di un rito consolidato da sempre. Le stesse azioni, ripetute ogni giorno uguali a se stesse. All'infinito. Come fanno i suoi ragazzi con un pallone per memorizzare i meccanismi del suo credo.  I primi tiri alla Marlboro Light, con la bocca ancora impastata dal sonno, sono amari, ma gustosi. Tra poco saranno accompagnati dall'aroma del caffè. Nero, bollente e senza zucchero. Sigaretta e caffè, un binomio perfetto come la sovrapposizione di un esterno basso a quello alto in fase di possesso. Ed ecco che alle luci dell'alba il calcio già fa capolino nei suoi pensieri. Ma è ancora presto, gradoni ed esercitazioni possono ancora attendere. Sul tavolo, vicino alla tazzina ancora immacolata, c'è il libro sfogliato per l'ennesima volta la sera precedente, appena prima di coricarsi. L'autore è Miguel de Cervantes, il romanzo il suo capolavoro: "Don Chisciotte della Mancia". Lo Zeman della letteratura.  Il sole è tornato a splendere su Pescara, dopo un lungo e rigido inverno, e il piacevole tepore del mattino sulla riviera annuncia l'imminente arrivo della primavera. Affacciarsi sul lungomare della città è un privilegio per pochi. Ci si sente come un Papa a San Pietro. Una leggera brezza proveniente dal mare scompiglia una criniera leggermente meno folta rispetto all'ultima volta. Sono passati cinque anni. Era l'ultimo giorno in città, la bocca non era amara per la sigaretta accompagnata dal caffè ma assaporava ancora il dolce gusto del trionfo. A quel pensiero un sorriso increspa la bocca, allungando la ruga che riga le guance già da un po' di anni. La città dorme ancora. Godereccia com'è vuole godersi fino in fondo gli ultimi attimi di quiete prima di tornare ad essere frenetica come una metropoli. Pur non essendolo. Un respiro a pieno polmoni ti fa sembrare di avere in gola il mare stesso. "Ah, quanto mi è mancata questa sensazione". Ma è un pensiero che dura un attimo. Perchè il signor Zdenek non è solito guardarsi indietro come i suoi coetanei. Lo fa solo per ricordare gli amici che non ci sono più, come Franco e Vincenzo. Il signor Zdenek guarda avanti, sempre e comunque. Con quel coraggio e quella spregiudicatezza che sono diventati proverbiali se associati al suo nome in una stessa frase.  Due sorsi di caffè sull'ampio terrazzo, mentre lo sguardo indugia su due gabbiani che si rincorrono. Osserva l'orizzonte, il signor Zdenek, proprio là dove c'è quella linea sottilissima in cui l'azzurro del mare si mischia a a quello del cielo, unendosi e abbracciandosi l'un l'altro come fossero due metà identiche di una stessa ed inscindibile entità. Lo sguardo non è severo, come quando è al lavoro, ed i pensieri non sono interrotti dalle parole, orpelli spesso per lui superflui tra le lunghe pause e le eloquenti espressioni. Sulla sua mimica facciale, infatti, si potrebbe scrivere un trattato. Sul lungomare, un gruppo di persone che corrono - gratis, non a pagamento come i suoi ragazzi - gli ricorda che è ora di andare. E' quasi l'ora X, anzi l'ora ZZ. Si avvia verso la porta, con passo lento. Ma per nulla incerto. Le spalle sono un po' curve, cariche del peso di mille battaglie sostenute. Prima di uscire prende un disco, è in vinile. Lo estrae dalla fodera, lo adagia sul grammofono - datato quasi quanto lui - e lascia che la musica riempia la stanza. Lo fa per lasciare un senso di se', come ha sempre fatto ogni volta che ha lasciato un luogo per migrare. Non è un pezzo di musica classica, ma una vecchia hit di una band rock britannica, i Queen. Il titolo? "Boehemian Rhapsody". E con un sorriso beffardo e malizioso chiude la porte di casa. Per aprire, di nuovo, quella di un luna park chiamato Zemanlandia  

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