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Sliskovic è in città: "Pescara e i pescaresi resteranno sempre nel mio cuore"

A Il Centro: "In città c’era un entusiasmo pazzesco. Venivo trattato come un re"

22.06.2019 00:31

Baka ha Pescara nel cuore. Ed è tornato in città. Blaz Sliskovic Baka Sliskovic ieri è sbarcato ad Ancona da Spalato ed ha raggiunto Pescara dove trascorrerà il weekend e partecipare, insieme al mentore Galeone e ad alcuni ex compagni, stasera (h 19) alla presentazione del libro “Poveri ma belli”, scritto dal giornalista Lucio Biancatelli (leggi qui).

Il Maradona dell'ex Jugoslavia, uno dei giocatori più talentuosi passati per Pescara, si è raccontato in una bella intervista rilasciata a Il Centro e della quale riportiamo gli spunti principali

Sliskovic, pronto per la rimpatriata?
«Sì, non vedo l’ora di rivedere Galeone e i miei vecchi compagni. Insieme abbiamo trascorso momenti indimenticabili e ritrovarli è sempre emozionante».
Ha seguito il Pescara quest’anno?
«Ogni settimana davo uno sguardo ai risultati e leggevo i commenti. Mi è dispiaciuto per la sconfitta ai play off, però la squadra ha disputato un ottimo torneo».
Secondo la società e una parte della tifoseria, Pillon praticava un calcio troppo prudente. Ora al suo posto c’è Zauri.
«Giocare bene è fondamentale, però il Delfino è sempre stato tra le prime posizioni e tutti dovrebbero essere soddisfatti. Conosco bene questa piazza, i tifosi biancazzurri pensano che il Pescara debba primeggiare in B. E se non succede restano delusi. Bisogna capire che ci sono realtà che hanno una capacità economica maggiore, ad esempio il Verona. Oggi, ancora di più rispetto al passato, chi spende di più vince. Pochi soldi, poca musica. Si dice così, vero?».
Eppure, nel 1986-87 il Pescara di Galeone andò in A investendo poco e l’anno dopo con lei si salvò.
«I tempi sono cambiati. La nostra squadra viveva in simbiosi con la città, anzi, per certi versi con l’intero Abruzzo. In tanti paesi capitava di incontrare persone pronte a incoraggiarti. Oggi questo legame è impossibile, c’è una barriera tra i giocatori e la gente. E molti calciatori si sentono come Dio in terra. Non si vive più la settimana accanto ai tifosi. Il calcio è diventato sinonimo di soldi e interessi». 
Quell’affetto fu decisivo per i vostri successi?
«In parte sì, poi influì la forza del gruppo e di un allenatore abilissimo nel creare un’atmosfera piacevole e serena. Galeone ama il gioco offensivo, ci lasciava liberi di esprimere le nostre qualità, ma sempre al servizio della squadra. Spazio all’estro e alla fantasia, non alla giocata fine a se stessa. In città c’era un entusiasmo pazzesco. Venivo trattato come un re. In Bosnia restano sbalorditi quando racconto che i titolari di ristoranti e negozi non mi facevano mai pagare nulla. Ci provavo, insistevo, ma niente da fare»..
Il ricordo più bello?
«L’affetto dei compagni e della gente. E le cene da Eriberto. Pescara e i pescaresi resteranno sempre nel mio cuore».

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